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   Io, l'Africa ...     ...e Lucarin 
 
Mi chiamo Gigi ed ho 24 anni, sono in comunità da 9 mesi e sono molto contento di scrivere questo articolo nel giornalino, affinché possa raccontarvi questa mia esperienza svoltasi in Africa, precisamente in Somalia.
Nel dicembre del ' 92 partii per il servizio militare, per mia scelta decisi di far parte della "Brigata  paracadutisti Folgore", tre mesi dopo ebbi la possibilità di partire in missione; così" chiamata: "Operazione  Ibis", ibis prende il nome da un volatile tipico somalo in via di estinzione.
Il 2 febbraio partimmo dall'aeroporto militare di Pisa con un "C.130", dopo qualche ora di volo sostammo all'aeroporto di Luxor in Egitto per fare carburante, dopo la breve sosta arrivammo a destinazione con diverse ore interminabili di volo, purtroppo con quegli aerei, affrontare un viaggio è ancora più faticoso.
Ero molto entusiasta, però nello stesso tempo avevo anche paura, i primi giorni cominciai a vedere un po' com'era il nostro accampamento che era situato a Balad che dista 30 Km circa da Mogadiscio.
Un bel giorno mi fecero sapere che dovevo uscire dal campo per rifornire l'acqua con le autobotti nei villaggi vicini ed io non vedevo l'ora di andarci, arrivammo in questi villaggi e compresi da subito in che situazione era la popolazione, rimasi molto male quando vidi i bambini implorarci per un po' d'acqua, per un pezzo di pane; quei momenti non li dimenticherò mai.
In caserma, in televisione se ne parlava tanto della situazione somala, ma vi assicuro che viverla di persona tutta un'altra cosa, non avevo mai visto tanta miseria e povertà, non sapevo neanch'io tante volte come comportarmi, purtroppo capitava che alcuni durante il momento in cui portavamo cibo e acqua approfittavano della confusione e prendevano più di quanto gli spettasse, era molto difficile che la situazione non ci sfuggisse di mano, io ho sempre cercato di fare del mio meglio cercando di dare a tutti il necessario.
A volte ci rimanevo male, non riuscivo ad essere indifferente a tutto quel disagio, a tutta quella povera gente; l'unica loro "colpa" è di essere poveri.
Nel nostro campo lavorava un somalo fidato che, in caso di bisogno, dava una mano a fare qualsiasi tipo di manutenzione, alle volte faceva anche da traduttore poiché sapeva molto bene la lingua italiana.
Ogni tanto portava  con sé l'ultimo dei suoi sedici figli concepito con la terza moglie che si chiamava Lucarin.
Mi ero molto affezionato a lui e ogni tanto gli compravo del cocco per farlo sorridere un po'.
 
 
 
 
 
 
 
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