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L'imperatore, dopo essersi pro-
nunciato in modo così pesante,
spiega poi minuziosamente le ra-
gioni per cui la diffusione della
fede mediante la violenza è cosa
irragionevole. La violenza è in
contrasto con la natura di Dio e la
natura dell'anima. "Dio non si
compiace del sangue – egli dice –,
non agire secondo ragione, con
“Logos”, è contrario alla natura di
Dio. La fede è frutto dell'anima, non
del corpo. Chi quindi vuole condurre
qualcuno alla fede ha bisogno della
capacità di parlare bene e di ragiona-
re correttamente, non invece della
violenza e della minaccia... Per con-
vincere un'anima ragionevole non è
necessario disporre né del proprio
braccio, né di strumenti per colpire
né di qualunque altro mezzo con cui
si possa minacciare una persona di
morte...".
L'affermazione decisiva in questa
argomentazione contro la con-
versione mediante la violenza è:
non agire secondo ragione è con-
trario alla natura di Dio. [Nota:
solamente per questa affermazio-
ne ho citato il dialogo tra
Manuele e il suo interlocutore
persiano. E’ in quest'affermazio-
ne che emerge il tema delle mie
successive riflessioni.] L'editore,
Theodore Khoury, commenta:
per l'imperatore, come bizantino
cresciuto nella filosofia greca,
quest'affermazione è evidente.
Per la dottrina musulmana, inve-
ce, Dio è assolutamente trascen-
dente. La sua volontà non è lega-
ta a nessuna delle nostre catego-
rie, fosse anche quella della ra-
gionevolezza. In questo contesto
Khoury cita un'opera del noto
islamista francese R. Arnaldez, il
quale rileva che Ibn Hazm si
spinge fino a dichiarare che Dio
non sarebbe legato neanche dalla
sua stessa parola e che niente lo
obbligherebbe a rivelare a noi la
verità. Se fosse sua volontà, l'uo-
mo dovrebbe praticare anche l'i-
dolatria. [Nota: il fatto che nella
teologia del tardo Medioevo esi-
stano posizioni paragonabili ap-
parirà nell'ulteriore sviluppo del
mio discorso.]
A questo punto si apre, nella
comprensione di Dio e quindi
nella realizzazione concreta della
religione, un dilemma che oggi ci
sfida in modo molto diretto. La
convinzione che agire contro la
ragione sia in contraddizione con
la natura di Dio, è soltanto un
pensiero greco o vale sempre e
per se stesso. Io penso che in
questo punto si manifesti la
profonda concordanza tra ciò che
è greco nel senso migliore e ciò
che è fede in Dio sul fondamento
della Bibbia. Modificando il pri-
mo versetto del Libro della
Genesi, il primo versetto dell’in-
tera Sacra Scrittura, Giovanni ha
iniziato il prologo del suo
Vangelo con le parole: "In princi-
pio era il “logos”. E’ questa pro-
prio la stessa parola che usa l'im-
peratore: Dio agisce con “logos”.
Logos significa insieme ragione e
parola – una ragione che è crea-
trice e capace di comunicarsi ma,
appunto, come ragione.
Giovanni con ciò ci ha donato la
parola conclusiva sul concetto bi-
blico di Dio, la parola in cui tutte
le vie spesso faticose e tortuose
della fede biblica raggiungono la
loro meta, trovano la loro sintesi.
In principio era il logos, e il logos è
Dio, ci dice l'evangelista.
L'incontro tra il messaggio bibli-
co e il pensiero greco non era un
semplice caso. La visione di san
Paolo, davanti al quale si erano
chiuse le vie dell'Asia e che, in
sogno, vide un Macedone e sentì
la sua supplica: "Passa in Mace-
donia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) –
questa visione può essere inter-
pretata come una "condensazio-
ne" della necessità intrinseca di
un avvicinamento tra la fede bi-
blica e l'interrogarsi greco.
In realtà, questo avvicinamento
ormai era avviato da molto tem-
po. Già il nome misterioso di Dio
dal roveto ardente, che distacca
questo Dio dall'insieme delle di-
vinità con molteplici nomi affer-
mando soltanto il suo "Io sono", il
suo essere, è, nei confronti del
mito, una contestazione con la
quale sta in intima analogia il
tentativo di Socrate di vincere e
superare il mito stesso.
Il processo iniziato presso il rove-
to raggiunge, all'interno dell'An-
tico Testamento, una nuova ma-
turità durante l'esilio, dove il Dio
d'Israele, ora privo della Terra e
del culto, si annuncia come il Dio
del cielo e della terra, presentan-
dosi con una semplice formula
che prolunga la parola del rove-
to: "Io sono". Con questa nuova
conoscenza di Dio va di pari pas-
so una specie di illuminismo, che
si esprime in modo drastico nella
derisione delle divinità che sa-
rebbero soltanto opera delle ma-
ni dell'uomo (cfr Sal 115).
Così, nonostante tutta la durezza
del disaccordo con i sovrani elle-
nistici, che volevano ottenere con
la forza l'adeguamento allo stile
di vita greco e al loro culto idola-
trico, la fede biblica, durante l'e-
poca ellenistica, andava interior-
mente incontro alla parte miglio-
re del pensiero greco, fino ad un
contatto vicendevole che si è poi
realizzato specialmente nella tar-
da letteratura sapienziale.
Oggi noi sappiamo che la tradu-
zione greca dell'Antico Testa-
mento, realizzata in Alessandria
– la "Settanta" –, è più di una
semplice (da valutare forse in
modo addirittura poco positivo)
traduzione del testo ebraico: è in-
fatti una testimonianza testuale a
se stante e uno specifico impor-
tante passo della storia della
Rivelazione, nel quale si è realiz-
zato questo incontro in un modo
che per la nascita del cristianesi-
mo e la sua divulgazione ha avu-
to un significato decisivo. Nel
profondo, vi si tratta dell'incon-
tro tra fede e ragione, tra autenti-
co illuminismo e religione.
Partendo veramente dall'intima
natura della fede cristiana e, al
contempo, dalla natura del pen-
siero greco fuso ormai con la fe-
de, Manuele II poteva dire: Non
agire "con il logos" è contrario alla
natura di Dio.
Per onestà bisogna annotare a
questo punto che, nel tardo
Medioevo, si sono sviluppate
nella teologia tendenze che rom-
pono questa sintesi tra spirito
greco e spirito cristiano. In con-
trasto con il cosiddetto intellet-
tualismo agostiniano e tomista
iniziò con Duns Scoto una impo-
stazione volontaristica, la quale
alla fine, nei suoi successivi svi-
luppi, portò all'affermazione che
noi di Dio conosceremmo soltan-
to la voluntas ordinata. Al di là di
essa esisterebbe la libertà di Dio,
in virtù della quale Egli avrebbe
potuto creare e fare anche il con-
trario di tutto ciò che effettiva-
mente ha fatto. Qui si profilano
delle posizioni che, senz'altro,
possono avvicinarsi a quelle di
Ibn Hazm e potrebbero portare
fino all'immagine di un Dio-
Arbitrio, che non è legato nean-
che alla verità e al bene. La tra-
scendenza e la diversità di Dio
vengono accentuate in modo così
esagerato, che anche la nostra ra-
Continua a pag. 6
Ricordi e riflessioni
Papa Benedetto XVI
12 settembre 2006,
Università di Ratisbona
"Questa pagina web è stata creata come esercizio da Carlo Auricchio, allievo del corso UNI3-Nichelino di Informatica Avanzata"