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Questo comporta due orienta-
menti fondamentali decisivi per
la nostra questione. Soltanto il ti-
po di certezza derivante dalla si-
nergia di matematica ed empiria
ci permette di parlare di scientifi-
cità. Ciò che pretende di essere
scienza deve confrontarsi con
questo criterio. E così anche le
scienze che riguardano le cose
umane, come la storia, la psicolo-
gia, la sociologia e la filosofia,
cercavano di avvicinarsi a questo
canone della scientificità.
Importante per le nostre riflessio-
ni, comunque, è ancora il fatto
che il metodo come tale esclude il
problema Dio, facendolo appari-
re come problema ascientifico o
pre-scientifico. Con questo, però,
ci troviamo davanti ad una ridu-
zione del raggio di scienza e ra-
gione che è doveroso mettere in
questione.
Tornerò ancora su questo argo-
mento. Per il momento basta te-
ner presente che, in un tentativo
alla luce di questa prospettiva di
conservare alla teologia il caratte-
re di disciplina "scientifica", del
cristianesimo resterebbe solo un
misero frammento. Ma dobbia-
mo dire di più: se la scienza nel
suo insieme è soltanto questo, al-
lora è l'uomo stesso che con ciò
subisce una riduzione. Poiché al-
lora gli interrogativi propriamen-
te umani, cioè quelli del "da do-
ve" e del "verso dove", gli interro-
gativi della religione e dell'ethos,
non possono trovare posto nello
spazio della comune ragione de-
scritta dalla "scienza" intesa in
questo modo e devono essere
spostati nell'ambito del soggetti-
vo. Il soggetto decide, in base al-
le sue esperienze, che cosa gli ap-
pare religiosamente sostenibile, e
la "coscienza" soggettiva diventa
in definitiva l'unica istanza etica.
In questo modo, però, l'ethos e la
religione perdono la loro forza di
creare una comunità e scadono
nell'ambito della discrezionalità
personale. E’ questa una condi-
zione pericolosa per l'umanità: lo
costatiamo nelle patologie mi-
nacciose della religione e della
ragione – patologie che necessa-
riamente devono scoppiare,
quando la ragione viene ridotta a
tal punto che le questioni della
religione e dell'ethos non la ri-
guardano più. Ciò che rimane dei
tentativi di costruire un'etica par-
tendo dalle regole dell'evoluzio-
ne o dalla psicologia e dalla so-
ciologia, è semplicemente insuffi-
ciente.
Prima di giungere alle conclusio-
ni alle quali mira tutto questo ra-
gionamento, devo accennare an-
cora brevemente alla terza onda
della deellenizzazione che si
diffonde attualmente. In conside-
razione dell’incontro con la mol-
teplicità delle culture si ama dire
oggi che la sintesi con l’elleni-
smo, compiutasi nella Chiesa an-
tica, sarebbe stata una prima in-
culturazione, che non dovrebbe
vincolare le altre culture. Queste
dovrebbero avere il diritto di tor-
nare indietro fino al punto che
precedeva quella inculturazione
per scoprire il semplice messag-
gio del Nuovo Testamento ed in-
culturarlo poi di nuovo nei loro
rispettivi ambienti. Questa tesi
non è semplicemente sbagliata; è
tuttavia grossolana ed imprecisa.
Il Nuovo Testamento, infatti, e
stato scritto in lingua greca e por-
ta in se stesso il contatto con lo
spirito greco – un contatto che
era maturato nello sviluppo pre-
cedente dell’Antico Testamento.
Certamente ci sono elementi nel
processo formativo della Chiesa
antica che non devono essere in-
tegrati in tutte le culture. Ma le
decisioni di fondo che, appunto,
riguardano il rapporto della fede
con la ricerca della ragione uma-
na, queste decisioni di fondo fan-
no parte della fede stessa e ne so-
no gli sviluppi, conformi alla sua
natura.
Con ciò giungo alla conclusione.
Questo tentativo, fatto solo a
grandi linee, di critica della ra-
gione moderna dal suo interno,
non include assolutamente l’opi-
nione che ora si debba ritornare
indietro, a prima dell’illumini-
smo, rigettando le convinzioni
dell’età moderna. Quello che nel-
lo sviluppo moderno dello spiri-
to è valido viene riconosciuto
senza riserve: tutti siamo grati
per le grandiose possibilità che
esso ha aperto all’uomo e per i
progressi nel campo umano che
ci sono stati donati. L’ethos della
scientificità, del resto, è – Lei l’ha
accennato, Magnifico Rettore –
volontà di obbedienza alla verità
e quindi espressione di un atteg-
giamento che fa parte delle deci-
sioni essenziali dello spirito cri-
stiano. Non ritiro, non critica ne-
gativa è dunque l’intenzione; si
tratta invece di un allargamento
del nostro concetto di ragione e
dell’uso di essa. Perché con tutta
la gioia di fronte alle possibilità
dell'uomo, vediamo anche le mi-
nacce che emergono da queste
possibilità e dobbiamo chiederci
come possiamo dominarle. Ci
riusciamo solo se ragione e fede
si ritrovano unite in un modo
nuovo; se superiamo la limitazio-
ne autodecretata della ragione a
ciò che è verificabile nell'esperi-
mento, e dischiudiamo ad essa
nuovamente tutta la sua ampiez-
za. In questo senso la teologia,
non soltanto come disciplina sto-
rica e umano-scientifica, ma co-
me teologia vera e propria, cioè
come interrogativo sulla ragione
della fede, deve avere il suo po-
sto nell'università e nel vasto dia-
logo delle scienze.
Solo così diventiamo anche capa-
ci di un vero dialogo delle cultu-
re e delle religioni – un dialogo di
cui abbiamo un così urgente biso-
gno. Nel mondo occidentale do-
mina largamente l'opinione, che
soltanto la ragione positivista e le
forme di filosofia da essa deri-
vanti siano universali. Ma le cul-
ture profondamente religiose del
mondo vedono proprio in questa
esclusione del divino dall'univer-
salità della ragione un attacco al-
le loro convinzioni più intime.
Una ragione, che di fronte al di-
vino è sorda e respinge la religio-
ne nell'ambito delle sottoculture,
è incapace di inserirsi nel dialogo
delle culture. E tuttavia, la mo-
derna ragione propria delle
scienze naturali, con l'intrinseco
suo elemento platonico, porta in
sé, come ho cercato di dimostra-
re, un interrogativo che la tra-
scende insieme con le sue possi-
bilità metodiche. Essa stessa de-
ve semplicemente accettare la
struttura razionale della materia
e la corrispondenza tra il nostro
spirito e le strutture razionali
operanti nella natura come un
dato di fatto, sul quale si basa il
suo percorso metodico. Ma la do-
manda sul perché di questo dato
di fatto esiste e deve essere affi-
data dalle scienze naturali ad al-
tri livelli e modi del pensare – al-
la filosofia e alla teologia. Per la
filosofia e, in modo diverso, per
la teologia, l'ascoltare le grandi
esperienze e convinzioni delle
tradizioni religiose dell'umanità,
specialmente quella della fede
cristiana, costituisce una fonte di
conoscenza; rifiutarsi ad essa si-
gnificherebbe una riduzione
inaccettabile del nostro ascoltare
e rispondere. Qui mi viene in
mente una parola di Socrate a
Fedone. Nei colloqui precedenti
si erano toccate molte opinioni fi-
losofiche sbagliate, e allora
Socrate dice: "Sarebbe ben com-
prensibile se uno, a motivo dell'irri-
tazione per tante cose sbagliate, per
il resto della sua vita prendesse in
odio ogni discorso sull'essere e lo de-
nigrasse. Ma in questo modo perde-
rebbe la verità dell'essere e subirebbe
un grande danno".
L'occidente, da molto tempo, è
minacciato da questa avversione
contro gli interrogativi fonda-
mentali della sua ragione, e così
potrebbe subire solo un grande
danno. Il coraggio di aprirsi al-
l'ampiezza della ragione, non il
rifiuto della sua grandezza – è
questo il programma con cui una
teologia impegnata nella rifles-
sione sulla fede biblica, entra nel-
la disputa del tempo presente.
"Non agire secondo ragione, non
agire con il logos, è contrario alla na-
tura di Dio", ha detto Manuele II,
partendo dalla sua immagine cri-
stiana di Dio, all'interlocutore
persiano. E’ a questo grande lo-
gos, a questa vastità della ragio-
ne, che invitiamo nel dialogo del-
le culture i nostri interlocutori.
Ritrovarla noi stessi sempre di
nuovo, è il grande compito del-
l'università.
Benedetto XVI
"Questa pagina web è stata creata come esercizio da Carlo Auricchio, allievo del corso UNI3-Nichelino di Informatica Avanzata"