Editoriale

2000: Si può ancora credere?


Il terzo millennio sarà segnato dalla presenza di Dio?
A duemila anni dalla vicenda terrena di Cristo, è ancora possibile credere al suo massaggio?
In queste pagine, vorremo proporre le risposte a tali interrogativi di due "opinion leader", Vittorio Messori e Antonio Zichichi, personaggi celebri dalla diversa estrazione culturale e professionale, accomunati dal fatto di riconoscere l'importanza di Dio nella loro vita.

Il quadro che se ne ricava, come potrà notare il lettore, appare chiaro nell'era della comunicazione e della scienza, solo la fede potrà continuare a rispondere alle domande più profonde che scaturiscono dal cuore dell'uomo. Vittorio Messori, giornalista e scrittore è autore di "best-seller" come "Ipotesi su Gesù", "Scommessa sulla morte" e "Qualche ragione per credere", solo per citarne alcuni, e della prima intervista ad un Papa, Giovanni Paolo II, in "Varcare la soglia della speranza". I suoi libri sono tradotti in una cinquantina di lingue e venduti in tutto il mondo. Nato da una famiglia emiliana di " buoni anticlericali", come osa definirli egli stesso, si avvicina al problema religioso al termine degli studi universitari, con la lettura dei Vangeli. "Nessuno, durante gli anni di scuola, mi aveva messo in mano quei quattro libricini scritti in greco popolare e chiamati Vangeli, e del resto mai avevo frequentato Oratori, né posti dove almeno alcune di quelle parole avrei potuto sentirle. Lessi quei libricini con la freschezza della prima volta. Non so che effetto faccia rileggere i Vangeli, dal primo all'ultimo, per chi già li conosce, perché li ha già letti o perché li ha sentiti proclamare a messa. So invece l'effetto che fece a me quella lettura. Ne ricevetti una sberla che mi fece davvero girare come una trottola e che cambiò totalmente la mia vita. Con tutto questo, non sono abbastanza ipocrita da giocare la commedia del convertito, di quello che fa il santarellino e dice: "ho letto i Vangeli e mi sono messo sulla strada della Santità", anzi più cerco di approfondire quel messaggio e più mi rendo conto della distanza che separa la mia vita concreta da ciò in cui ora credo, cioè la verità di quei Vangeli. Quindi, più che una testimonianza di vita, posso offrire una testimonianza intellettuale, la testimonianza cioè di chi da più di vent'anni, sconvolto da quella prima lettura, non fa altro che interrogarsi di nuovo su quelle pagine e sulla loro verità. Possiamo davvero fidarci di quegli antichissimi testi scritti nel greco del popolo? La speranza dei cristiani è davvero fondata su qualche cosa si solido? I vangeli sono realmente una roccia, una pietra, una base sulla quale costruire la propria vita e sulla quale cercare di rischiare la propria morte? Noi uomini del nostro tempo, che ci crediamo smaliziati, che abbiamo attraversato tutti i dubbi di questa epoca scientifica e postscientifica, possiamo, come coloro che ci hanno preceduti, prendere sul serio i Vangeli e fondare lì vita e speranza? Di questa ricerca, di questa inchiesta e di questa raccolta di notizie sulla credibilità e sulla verità dei Vangeli, i libri che finora ho pubblicato, qualunque ne sia il valore, sono la testimonianza. "Ipotesi su Gesù" l'ho scritto e pubblicato dodici anni dopo l'inizio di questa mia ricerca. Dodici anni impiegati nel raccogliere il maggior numero di notizie sul personaggio di Gesù, nel braccarlo da vicino per verificarne l'affidabilità". Da laico che era, scrivendo le sue "Ipotesi su Gesù" si è convertito alla fede cristiana: "ho continuato la mia ricerca passando dal personaggio, Gesù di Nazareth, al suo messaggio, con "Scommessa sulla Morte". Scrive San Paolo che il cuore, il centro, l'essenza del messaggio di Gesù è l'annuncio che questo carpentiere ebreo avrebbe affrontato e vinto la morte con la Resurrezione, Resurrezione che è poi stata promessa a tutti noi. "Se Cristo non è risorto, la nostra speranza è vana e noi siamo i più sventurati tra gli uomini perché crediamo nelle favole". La "scommessa sulla morte" è il cuore del Cristianesimo, il cuore del messaggio di Gesù. Il credente è chiamato a scommettere che la morte non è l'ultimo atto, ma il penultimo, che la morte anzi non solo è la fine di tutto ma è l'inizio di tutto. Ho scoperto che la dimensione cristiana è quella che, nel confrontarsi con il problema della morte, propone la speranza e la prospettiva non solo più credibile, a mio avviso, ma anche più completa. Se infatti diamo uno sguardo al panorama religioso, è facile vedere che soltanto nel cristianesimo è affermato l'inaffermabile, si spera l'insperabile, si crede l'incredibile, cioè la Resurrezione." Antonio Zichichi, ricercatore di valore mondiale (tra i primi al mondo a studiare teoricamente e sperimentalmente la struttura elettromagnetica "tipo-tempo" del protone) è credente autentico, entusiasta, comunicativo, anzi esplosivo (qualcuno sostiene che sia stato l'ispiratore del discorso di Giovanni Paolo II del Capodanno 1980 sul pericolo dell'apocalisse nucleare). È la dimostrazione vivente che scienza e fede non fanno a pugni, ma che anzi, sommandosi, danno splendidi risultati. "Purtroppo la scienza ha fatto tanta ricerca ma pochissima cultura. Cultura vuol dire anzitutto comunicare. La scienza ha lasciato parlare gli altri per secoli senza mai esprimersi in prima persona, e gli altri sono coloro che la scienza non l'hanno mai fatta. Se quindi qualcuno dice che la scienza è nemica della fede, bisogna chiedergli:"Scusi, lei che cosa ha fatto in campo scientifico? Che cosa ha scoperto?". Vi accorgerete che chi parla così di scienza non ne ha mai fatta; ne saprà qualche cosa perché l'ha letta sui libri, perché ne ha sentito parlare, ma questo non vuol dire essere scienziati. I giganti della scienza, Galilei, Newton, Maxwell, Planck, Einstein, furono tutti credenti. Come si può allora dire che scienza e fede sono in antitesi? Questa é la più grave mistificazione culturale di tutti i tempi, in quanto tenta di stravolgere totalmente il vero significato di "scienza". Dobbiamo a un uomo di grande cultura - Giovanni Paolo II - i contributi determinanti che hanno permesso di portare la dovuta chiarezza nella Cultura del nostro tempo. La pace e la prosperità dei popoli non si costruiscono con le menzogne. Ecco perché la Comunità Scientifica di Erice ha fatto suo l'insegnamento di questo eccezionale Pontefice. Lo smantellamento delle mistificazioni culturali doveva precedere quello delle testate nucleari. Vorrei ricordare le tre frasi di Giovanni Paolo II ai diecimila scienziati di Erice. La prima: "Scienza e Fede sono entrambe doni di Dio". Questa frase rende giustizia culturale alla Scienza. Essa viene infatti posta sullo stesso piedistallo di valori della Fede. La Scienza è una verità che si conquista, giorno per giorno, ponendo, con umiltà, domande sempre nuove a Colui che ha fatto il mondo. È difficile capire come possa una verità del genere essere "dono di Dio". Eppure è così. Infatti tra tutte le forme di Materia Vivente, noi siamo l'unica alla quale è stato concesso un privilegio eccezionale: capire la logica di Colui che ha fatto il mondo. Scienza vuol dire questo. Nessun grande scienziato ha mai detto che Scienza e Fede sono in antitesi. Eppure la Cultura dominante ha fatto credere che queste due verità fossero in conflitto. Scienza e Fede sono invece in comunione. Nell'immanente la Scienza, nel Trascendente la Fede, sono la prova che questa forma di Materia Vivente detta uomo ha qualcosa che lo distingue nettamente dalle altre. Non esiste alcuna scoperta scientifica che possa essere portata come argomento per dire:"E pertanto Dio non esiste". Né c'é alcun contrasto con i valori cui fanno capo la Scienza e la Fede. La Scienza esige umiltà intellettuale, esattamente come la Fede. Nella seconda frase: "L'uomo può perire per effetto della Tecnica che lui stesso sviluppa, non per la verità che egli scopre mediante la scienza", c'è la distinzione netta tra Scienza e Tecnica. Distinzione che è di estrema importanza se vogliamo voltare pagina con la mistificazione del marxismo scientifico. Infatti le applicazioni tecnologiche delle scoperte scientifiche possono essere fatte "per" e "contro" i valori della vita e della dignità umana. Infine, la terza frase: "Come al tempo delle lance e delle spade, così anche oggi, prima delle armi, a uccidere é il cuore dell'uomo". E cioè la scelta tra gli ordigni di guerra e utensili di pace non è di natura scientifica ma esclusivamente culturale. È la cultura della vendetta, dell'odio, della lotta a oltranza che uccide l'uomo. Se imperversa la violenza politica saranno gli ordini di guerra ad avere la priorità assoluta.

Se trionfa la Cultura dell'amore, le applicazioni tecnologiche delle scoperte scientifiche saranno studiate per aiutare l'uomo a vivere meglio. La tecnica sarà come l'estensione nel Tempo dell'atto creativo fondato sull'amore". Ma cosa potrà dire la Scienza circa il nostro futuro? Alla Scienza non si può chiedere di prevedere il futuro. Anche se io mi mettessi nella testa di Einstein, non potrei prevederlo, questo futuro.

Noi possiamo capire benissimo il passato, ma prevedere il futuro è impossibile, in quanto la natura - da molti disprezzata - dimostra di saperla più lunga di noi. Il futuro è nelle mani di Dio. Questa non è una risposta scientifica, è la risposta di uno scienziato che non ha nulla da dire, come scienziato, sul futuro.
Si può credere o non credere, ma la sfera della nostra esistenza trascendente non sarà certamente la scienza a dimostrare che è assurda o inesistente. Lo studio rigoroso della parte meno evanescente di noi stessi, meno trascendente, cioè dell'aspetto immanentistico e materiale dell'uomo, ha portato a questa grande conclusione: la scienza non esclude Dio, anzi oggi é proprio la scienza ad aprire nuove e inaspettate frontiere all'irrompere del divino. La scienza può solamente dire che il futuro è nelle mani di Colui che ha fatto il mondo!".

(Per approfondimenti si rimanda a A.Cattaneo, "Verso quale futuro", Ed. Paoline; V. Messori, "Qualche ragione per credere", Mondadori, 1997; A. Zichichi, "Scienza ed emergenze planetarie", Rizzoli, 1993 e A. Zichichi, "Perché io credo in colui che ha fatto il mondo", Il Saggiatore, 1999).

Gianmarco Boretto

 

 
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