Il quadro che se ne ricava,
come potrà notare il lettore, appare chiaro nell'era della comunicazione
e della scienza, solo la fede potrà continuare a rispondere alle
domande più profonde che scaturiscono dal cuore dell'uomo. Vittorio
Messori, giornalista e scrittore è autore di "best-seller" come
"Ipotesi su Gesù", "Scommessa sulla morte" e "Qualche ragione per
credere", solo per citarne alcuni, e della prima intervista ad un
Papa, Giovanni Paolo II, in "Varcare la soglia della speranza".
I suoi libri sono tradotti in una cinquantina di lingue e venduti
in tutto il mondo. Nato da una famiglia emiliana di " buoni anticlericali",
come osa definirli egli stesso, si avvicina al problema religioso
al termine degli studi universitari, con la lettura dei Vangeli.
"Nessuno, durante gli anni di scuola, mi aveva messo in mano quei
quattro libricini scritti in greco popolare e chiamati Vangeli,
e del resto mai avevo frequentato Oratori, né posti dove almeno
alcune di quelle parole avrei potuto sentirle. Lessi quei libricini
con la freschezza della prima volta. Non so che effetto faccia rileggere
i Vangeli, dal primo all'ultimo, per chi già li conosce, perché
li ha già letti o perché li ha sentiti proclamare a messa. So invece
l'effetto che fece a me quella lettura. Ne ricevetti una sberla
che mi fece davvero girare come una trottola e che cambiò totalmente
la mia vita. Con tutto questo, non sono abbastanza ipocrita da giocare
la commedia del convertito, di quello che fa il santarellino e dice:
"ho letto i Vangeli e mi sono messo sulla strada della Santità",
anzi più cerco di approfondire quel messaggio e più mi rendo conto
della distanza che separa la mia vita concreta da ciò in cui ora
credo, cioè la verità di quei Vangeli. Quindi, più che una testimonianza
di vita, posso offrire una testimonianza intellettuale, la testimonianza
cioè di chi da più di vent'anni, sconvolto da quella prima lettura,
non fa altro che interrogarsi di nuovo su quelle pagine e sulla
loro verità. Possiamo davvero fidarci di quegli antichissimi testi
scritti nel greco del popolo? La speranza dei cristiani è davvero
fondata su qualche cosa si solido? I vangeli sono realmente una
roccia, una pietra, una base sulla quale costruire la propria vita
e sulla quale cercare di rischiare la propria morte? Noi uomini
del nostro tempo, che ci crediamo smaliziati, che abbiamo attraversato
tutti i dubbi di questa epoca scientifica e postscientifica, possiamo,
come coloro che ci hanno preceduti, prendere sul serio i Vangeli
e fondare lì vita e speranza? Di questa ricerca, di questa inchiesta
e di questa raccolta di notizie sulla credibilità e sulla verità
dei Vangeli, i libri che finora ho pubblicato, qualunque ne sia
il valore, sono la testimonianza. "Ipotesi su Gesù" l'ho scritto
e pubblicato dodici anni dopo l'inizio di questa mia ricerca. Dodici
anni impiegati nel raccogliere il maggior numero di notizie sul
personaggio di Gesù, nel braccarlo da vicino per verificarne l'affidabilità".
Da laico che era, scrivendo le sue "Ipotesi su Gesù" si è convertito
alla fede cristiana: "ho continuato la mia ricerca passando dal
personaggio, Gesù di Nazareth, al suo messaggio, con "Scommessa
sulla Morte". Scrive San Paolo che il cuore, il centro, l'essenza
del messaggio di Gesù è l'annuncio che questo carpentiere ebreo
avrebbe affrontato e vinto la morte con la Resurrezione, Resurrezione
che è poi stata promessa a tutti noi. "Se Cristo non è risorto,
la nostra speranza è vana e noi siamo i più sventurati tra gli uomini
perché crediamo nelle favole". La "scommessa sulla morte" è il cuore
del Cristianesimo, il cuore del messaggio di Gesù. Il credente è
chiamato a scommettere che la morte non è l'ultimo atto, ma il penultimo,
che la morte anzi non solo è la fine di tutto ma è l'inizio di tutto.
Ho scoperto che la dimensione cristiana è quella che, nel confrontarsi
con il problema della morte, propone la speranza e la prospettiva
non solo più credibile, a mio avviso, ma anche più completa. Se
infatti diamo uno sguardo al panorama religioso, è facile vedere
che soltanto nel cristianesimo è affermato l'inaffermabile, si spera
l'insperabile, si crede l'incredibile, cioè la Resurrezione." Antonio
Zichichi, ricercatore di valore mondiale (tra i primi al mondo a
studiare teoricamente e sperimentalmente la struttura elettromagnetica
"tipo-tempo" del protone) è credente autentico, entusiasta, comunicativo,
anzi esplosivo (qualcuno sostiene che sia stato l'ispiratore del
discorso di Giovanni Paolo II del Capodanno 1980 sul pericolo dell'apocalisse
nucleare). È la dimostrazione vivente che scienza e fede non fanno
a pugni, ma che anzi, sommandosi, danno splendidi risultati. "Purtroppo
la scienza ha fatto tanta ricerca ma pochissima cultura. Cultura
vuol dire anzitutto comunicare. La scienza ha lasciato parlare gli
altri per secoli senza mai esprimersi in prima persona, e gli altri
sono coloro che la scienza non l'hanno mai fatta. Se quindi qualcuno
dice che la scienza è nemica della fede, bisogna chiedergli:"Scusi,
lei che cosa ha fatto in campo scientifico? Che cosa ha scoperto?".
Vi accorgerete che chi parla così di scienza non ne ha mai fatta;
ne saprà qualche cosa perché l'ha letta sui libri, perché ne ha
sentito parlare, ma questo non vuol dire essere scienziati. I giganti
della scienza, Galilei, Newton, Maxwell, Planck, Einstein, furono
tutti credenti. Come si può allora dire che scienza e fede sono
in antitesi? Questa é la più grave mistificazione culturale di tutti
i tempi, in quanto tenta di stravolgere totalmente il vero significato
di "scienza". Dobbiamo a un uomo di grande cultura - Giovanni Paolo
II - i contributi determinanti che hanno permesso di portare la
dovuta chiarezza nella Cultura del nostro tempo. La pace e la prosperità
dei popoli non si costruiscono con le menzogne. Ecco perché la Comunità
Scientifica di Erice ha fatto suo l'insegnamento di questo eccezionale
Pontefice. Lo smantellamento delle mistificazioni culturali doveva
precedere quello delle testate nucleari. Vorrei ricordare le tre
frasi di Giovanni Paolo II ai diecimila scienziati di Erice. La
prima: "Scienza e Fede sono entrambe doni di Dio". Questa frase
rende giustizia culturale alla Scienza. Essa viene infatti posta
sullo stesso piedistallo di valori della Fede. La Scienza è una
verità che si conquista, giorno per giorno, ponendo, con umiltà,
domande sempre nuove a Colui che ha fatto il mondo. È difficile
capire come possa una verità del genere essere "dono di Dio". Eppure
è così. Infatti tra tutte le forme di Materia Vivente, noi siamo
l'unica alla quale è stato concesso un privilegio eccezionale: capire
la logica di Colui che ha fatto il mondo. Scienza vuol dire questo.
Nessun grande scienziato ha mai detto che Scienza e Fede sono in
antitesi. Eppure la Cultura dominante ha fatto credere che queste
due verità fossero in conflitto. Scienza e Fede sono invece in comunione.
Nell'immanente la Scienza, nel Trascendente la Fede, sono la prova
che questa forma di Materia Vivente detta uomo ha qualcosa che lo
distingue nettamente dalle altre. Non esiste alcuna scoperta scientifica
che possa essere portata come argomento per dire:"E pertanto Dio
non esiste". Né c'é alcun contrasto con i valori cui fanno capo
la Scienza e la Fede. La Scienza esige umiltà intellettuale, esattamente
come la Fede. Nella seconda frase: "L'uomo può perire per effetto
della Tecnica che lui stesso sviluppa, non per la verità che egli
scopre mediante la scienza", c'è la distinzione netta tra Scienza
e Tecnica. Distinzione che è di estrema importanza se vogliamo voltare
pagina con la mistificazione del marxismo scientifico. Infatti le
applicazioni tecnologiche delle scoperte scientifiche possono essere
fatte "per" e "contro" i valori della vita e della dignità umana.
Infine, la terza frase: "Come al tempo delle lance e delle spade,
così anche oggi, prima delle armi, a uccidere é il cuore dell'uomo".
E cioè la scelta tra gli ordigni di guerra e utensili di pace non
è di natura scientifica ma esclusivamente culturale. È la cultura
della vendetta, dell'odio, della lotta a oltranza che uccide l'uomo.
Se imperversa la violenza politica saranno gli ordini di guerra
ad avere la priorità assoluta.
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