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Due
anni fa in parrocchia mi venne consegnato un plico di fotocopie.
Si trattava di questionari da distribuire a studenti universitari,
tra gli amici e conoscenti. Ricordo che non era stato facile recuperare
le risposte: infatti nessuna delle persone a cui avevo consegnato
questo foglio era risultata entusiasta dell'iniziativa. Chi lo aveva
perso, chi lo aveva dimenticato chissà dove e chi mi chiedeva di
compilarlo al posto suo. Raccolti i 5 o 6 questionari recuperabili,
li restituii in parrocchia, da cui sarebbero stati inviati alla
"Pastorale Universitaria" di Torino. |
Da allora, ricevo di tanto in tanto una lettera
di invito agli incontri dell'organizzazione. Si tratta di
piccole conferenze, tenute ogni volta da persone diverse,
competenti riguardo all'argomento trattato. Nell'anno in corso,
il percorso formativo è relativo all'etica nei vari ambiti
della società, nello studio, nel lavoro. Gli argomenti sembrano
interessanti ed ogni volta mi riprometto di andarci. Poi,
occupata da mille impegni, puntualmente me ne dimentico. Tuttavia,
il considerare lo studio universitario anche da questo punto
di vista, e non soltanto come dovere o come ambizione e realizzazione
personale, sarebbe sicuramente profiquo. |
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Qualche tempo fa, nel corso di un turno di esercizi spirituali
emerse proprio questo argomento: "lo studio come conoscenza da mettere
al servizio degli altri e della società". Troppo spesso mi capita
di dividere ciò che riguarda la mia vita di tutti i giorni, fatta
di studio, ore di lezione, da quella trascorsa in parrocchia e ancor
di più da quella spirituale. Dopo tutto, provare ad osservare la
mia vita da angolazioni diverse non può che ampliare le mie vedute.
Così, quella domanda, scritta in grassetto sul volantino con le
date degli incontri, mi incuriosì: "Quali le responsabilità del
sapere universitario verso l'uomo?". Mi decisi: avrei partecipato
ad un incontro, trovando un posto tra tutti i miei impegni. Scappo
un'ora prima dal Politecnico e mi dirigo verso il centro di Torino.
L'argomento della giornata è "L'uomo e la comunicazione" ossia l'etica
della formazione e dell'informazione. Trovo il palazzo, suono e
mi aprono subito. Entrando sto per chiedere al portinaio il piano
dove devo salire, ma lo zaino sulle spalle tradisce la mia identità
e prima di riuscire a parlare mi viene risposto: "Pastorale universitaria?
Terzo piano". Entro, saluto la signora che mi ha aperto; alla mia
destra c'è un lungo tavolo che riempie l'entrata. Ci sono cestini
di caramelle e dolcini, poi una serie di fogli pubblicazioni, libri,
anche i riassunti degli incontri precedenti. Uno sembra particolarmente
interessante: "L'uomo ed il sapere" ossia l'etica delle logiche.
Sfogliandolo capisco che tratta dell'importanza della matematica
nel comprendere l'universo che ci circonda ed allo stesso tempo
della sua limitatezza davanti alla natura e al suo creatore. Mi
sembra interessante, lo leggerò a casa. Prima ancora di entrare
nella saletta dove si terrà la conferenza mi viene incontro un'amica,
mi racconta che nella sua parrocchia si organizzano a gruppetti
per andare agli incontri, ognuno a seconda dei proprio indirizzo
di studi. In effetti è un'iniziativa interessante - penso - perché
non prenderla in considerazione? Il pubblico che pian piano si raduna
non è particolarmente numeroso, è piuttosto eterogeneo, soprattutto
come età. Dopo poco l'incontro ha inizio, introduce una ricercatrice
universitaria e parla della formazione. Si sofferma sulle caratteristiche
di un percorso educativo ed in particolare sulla deontologia degli
operatori, siano essi insegnanti o genitori. Nella seconda parte
invece a parlare è il direttore della "Voce del Popolo", a proposito
dell'etica nell'informazione. C'è spazio infine per l'intervento
del pubblico per esprimere pareri personali, commenti o domande.
Fermarsi due ore a riflettere sul rapporto tra il sapere universitario
e la fede, sull'impegno e la testimonianza dei cattolici in tale
contesto, ascoltando opinioni di persone competenti e di ispirazione
cristiana, è sicuramente un'esperienza arricchente. "Il pensiero
di Dio non è il nostro pensiero, le sue vie non sono le nostre.
La matematica non ci aiuta certo a comprendere questo pensiero inaccessibile,
ma a percepirne timidamente l'infinita profondità" (prof. Cerruti).
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